Improvvisamente mi si aprì una vena. Non intendo riferirmi al corpo, bensì allo spirito. Fu negli anni ’80, dopo il tempo del silenzio. Zampillò per una sorta di fenomeno, che si può chiamare dello “stato nascente”, qualcosa, che sgorgò spontanea dal cuore, come un ruscello dalla terra. Piove, piove, piove…poi il gorgo si gonfia e rompe l’ultima barriera. Viene alla luce.
Così scoprii che potevo cantare e quindi cantai. Cantavo meglio quando ero in movimento. In macchina, per esempio, per cui dovevo fermarmi per fissare le labili catenelle, che si snodavano in parole, come concrezioni mobili mutanti. Se non le avessi fissate sulla carta sarebbero scomparse per sempre come l’arcobaleno o i lampi o i sogni. Una casa, un odore, un fiore, un nodo alla gola, un ricordo affiorante prendevano forma, colore, suono….per non essere ripresi mai più.